
12 Lug Intervista a Flavia La Rocca, designer di Moda Modulare, Sostenibile e Trasparente
Vincitrice del Franca Sozzani GCFA Award come Miglior Designer Emergente 2019, finalista alla Yoox Vogue Challenge 2020 e imprenditrice: come sei arrivata fin qui?
Nasco a Fiumicino, vicino Roma, e per me diventare una stilista era un sogno nel cassetto. Durante la triennale in Scienza della Moda e del Costume alla Sapienza di Roma, ho approfondito gli aspetti economico-manageriali ma grazie alla relatrice della mia tesi, la dottoressa Fabiana Giacomotti, ottengo un posto nell’Ufficio Stampa di Blumarine, per poi approdare da Prada dove ero costantemente in contatto con l’Ufficio Stile. Da lì la creatività è partita a mille: vivendo le frenetiche tempistiche del dietro le quinte ho trovato il mio spazio nel mondo della moda. A 29 anni durante una ricerca di innovativi filati e metodi di produzione in Europa trovo il Tencell Luxe, allora non ancora presente sul mercato. Ottengo il permesso dal fornitore per utilizzarlo in una confezione speciale per i Green Carpet Fashion Awards, indossabile in 40 modi diversi. La giuria, diretta da Franca Sozzani, mi ha chiesto immediatamente come avessi trovato quel tessuto così ricercato: sono stata premiata proprio per la conoscenza profonda del settore e dei materiali. Tutto partendo da tanta voglia di scoprire e di creare.
Moda modulare: che cos’è e da dove è nata questa geniale idea? Semplifica davvero la vita?
Il concetto di moda modulare nasce dall’esigenza personale di avere un abito agile, che occupa poco spazio e che sia davvero sostenibile mantenendo il dress code degli ambienti lavorativi tutto il giorno. Durante i miei anni in Ufficio Stampa dovevo e volevo essere sempre vestita nel modo giusto, e d’un tratto ho capito che come me, molte donne avevano la mia stessa esigenza. Il modello di moda modulare e concettuale, ludico, e soprattutto sostenibile: grazie alle pratiche zip ogni parte dei set modulari possono intercambiarsi in 10 modi diversi, creando un abito che abbia 10 usi diversi. I set modulari limitano i costi di produzione e distribuzione, e sono anche sostenibili: avere un capo che vale per dieci fa innamorare chi lo acquista e assume un valore intrinseco, porta ad acquistare meno e più consapevolmente. In più sono appassionata di ricerca tessile per filati sostebili.
A proposito, quali sono i materiali che prediligi nella creazione dei tuoi capi sostenibili?
Senza dubbi il Tencell, una fibra naturale derivata dalla cellulosa in due varietà: la normale, che risulta più casual nel finish ed il Tencel Luxe, la versione botanica della seta, che garantisce super performance qualitative. La produzione dei due filati è inoltre anche cruelty-free perché non vengono usati i bachi da seta. Per quanto riguarda il denim, che uso spesso, adoro quello di colore naturale di Candiani, super sostenibile da sempre e le lane rigenerate dell’azienda Malteco di Prato, con cui ho fatto anche altre collab in passato. Le mie collezioni nascono sulla base di un’attenta e continuativa ricerca della filiera produttiva sostenibile internazionale.
Sei sulla copertina di The End of Trash, numero del mese di Marzo del National Geographic. Cosa ti ha colpito di più questa esperienza?
L’esperienza con il National Geographic mi ha emozionata molto a livello professionale e umano. Il numero verteva sull’economia circolare, e la redazione aveva radunato centinaia di designer da tutto il mondo per posare con le loro creazioni strettamente sostenibili, per dimostrare come i rifiuti potessero diventare qualcosa di bello. Il set era enorme ed io, incinta di 5 mesi con il pancione, sono risultata talmente peculiare da meritarmi lo scatto di copertina. Originariamente non dovevo esserci, dire che ero sgomenta è davvero riduttivo. Da lì poi sono successe tante bell cose.
Fai parte del Fashion Best Collective, collettivo di designer italiani e internazionali sostenibili. Qual è l’aspetto migliore di lavorare spalla a spalla con professionisti che potrebbero essere tuoi competitor?
Non viviamo la competizione, anzi, nel nostro caso l’unione fa la forza. Sarà perché ognuno crea un prodotto unico e secondo il suo stile e tutti condividiamo gli stessi valori di condivisione, sostenibilità, informazione e creazione libera, ma per me il collettivo è una delle parti più belle del mio lavoro. Non abbiamo aziende alle spalle e pochi collaboratori lavorano con noi, ma quando uniamo le forze è come se fossimo effettivamente un’azienda, ci aiutiamo l’un l’altro e siamo sempre pronti a risolvere i problemi dei colleghi. Il nostro è un approccio giovane che punta ad eliminare la malsana competizione nel mondo della moda, e dimostrare che la collaborazione per un’obiettivo comune è la cosa più importante. Città dell’Arte a Milano è il nostro spazio magico con laboratorio.
Riguardo al tuo rapporto con il luogo dove crei ed il tuo lavoro, quanto influisce sul processo creativo l’ambiente che ti circonda ?
L’ambiente per me è fondamentale: a Città dell’Arte vivo un flusso continuo di creatività. Sarà che poi quando si sya bene si lavora meglio. In studio, a casa mia, disegno, ideo e faccio talk e lezioni online, anche con la vita privata a pochissima distanza. L’importante è trovare la propria dimensione, vivere bene e prendere al balzo l’ispirazione quando arriva. Quando ho iniziato avevo 29 anni, mi sono detta o ora o mai più, devo buttarmi: l’ambiente dove lavoravo, sempre io sono una madre, un’imprenditrice, vivo all’estero, faccio tutto per il mio marchio e avere una famiglia ed essere una mamma sono cose che voglio mostrare, non nascondere. Questo è il mio modo di essere trasparente, al 100%.
Credi alla potenza della moda come manifesto politico/identitario?
Ti faccio un esempio: ho sempre portato avanti il mio brand da sola, e all’inizio avevo 3 mail diverse, una per l’ufficio stampa, una per i casting e un’altra per la produzione, perchè dovevo far vedere che avevo lo staff a disposizione e le carte in regola per stare nel mondo della moda. Poi ho cominciato a mostrarmi per quello che veramente volevo dare al mondo, moda intercambiabile, divertente, facile e soprattutto trasparente. Acquistare abbigliamento concepito e fatto in modo rispettoso per l’ambiente è una dichiarazione di voler fare la differenza, per me (ed il collettivo Fashion Best Collective, è importante mettere la propria formazione e informazione a servizio della community, condividere la propria visione per educare alla responsabilità e alla sostenibilità.
Progetti futuri?
Presenterò al White di Settembre un total look genderless in denim colore Ecru, composto da camicia, capospalla over e kimono, ovviamente modulari. La proposta è in color naturale ma con l’e-commerce, in partenza probabilmente a Febbraio 2022 sarà possibile preordinare i capi e tingerli al momento dell’ordine in 5 colori con fibra color, secondo le pratiche di tintura a freddo e a pennello, le tecniche migliori a livello di risparmio d’acqua. Tramite l’e-commerce ho in mente di testare un metodo innovativo per il retail, a mio parere fruttuoso e sostenibile sia per buyers e negozianti che per i consumatori finali, nel rispetto dell’ambiente e del rapporto umano indispensabile per acquistare fashion, che riducano costi di stock, distribuzione e anche produzione.